domenica 28 novembre 2010

Dal "Diario di scuola"

R. Doisneau

"I nostri studenti che "vanno male" (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo.
Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all'uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell'indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. Certo, non saremo gli unici a scavare quei cunicoli o a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro giovinezza seduti di fronte a voi. E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l'eternità in un barattolo"
[D. Pennac, Diario di scuola]

Chiara


giovedì 18 novembre 2010

I care


"Poi insegnando imparavo tante cose.
Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia.
[...] i ragazzi che non volete. L'abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E' un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. 
E voi ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamateli, insistete, ricominciate tutto da capo all'infinito a costo di passar da pazzi.
Meglio passar da pazzi che essere strumento di razzismo"

(Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa)

Serve una dose maggiore di motivazione nella settimana dei consigli di classe.

Chiara


lunedì 8 novembre 2010

"Ora, risaliamo il fiume"

Vincenzo Foppa, Fanciullo che legge Cicerone, Londra, Wallace Collection

disse Granger. "E ficcati bene in capo una cosa: tu non sei importante. Tu non sei nulla. Un giorno, il fardello che ognuno di noi deve portare può riuscire utile a qualcuno. Ma anche quando avevamo libri a disposizione, molto tempo fa, non abbiamo saputo trarre profitto da ciò che essi ci davano. Abbiamo continuato come se niente fosse ad insultare i morti. Abbiamo continuato a sputare sulle tombe di tutti i poveri morti prima di noi. Conosceremo una grande quantità di persone sole e dolenti, nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: Ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tale quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra."
R. Bradbury, Fahrenheit 451

C'è altro da aggiungere?
Chiara

mercoledì 3 novembre 2010

Un pezzo che vale


Stralcio di un'intervista rilasciata da Giovanni Agosti a Andrea Dusio (Giovanni Agosti ovvero l'etica di fare cultura, www.milanocultura.com)

Quando e perché la Storia dell'Arte italiana ha smesso di essere un fatto letterario alto?

G.A: "Il più grande studioso di Storia dell'Arte del Novecento è anche uno dei massimi scrittori italiani del secolo scorso. L'unico che Pasolini, Testori e Arbasino abbiano riconosciuto come maestro. Poi ci sono stati tanti esempi di cattiva letteratura. L'imitazione longhiana è stata deleteria per alcuni dei suoi allievi, e ha provocato, di riflesso, una reazione salutare, un allontanamento della nostra materia dall'essere anche un fatto letterario. Poi ci sono autori per cui non si può scrivere che in una determinata maniera. Ognuno ha il proprio stile. In certi casi, come quello appunto delle schede che stiamo preparando per il catalogo di Rancate, è opportuno rinunciare a un certo tipo di intento espressivo. Il che equivale a un esercizio di ascesi. Da ragazzo, detestavo questa rigidità. Ora mi sono reso conto, a partire dal catalogo dei Disegni del Rinascimento in Valpadana (una mostra del 2001 agli Uffizi), che un esercizio di depurazione è funzionale anche alla pedagogia. Perché è importante non provocare negli studenti sterili desideri di imitazione. Diventare un cattivo maestro è facilissimo. Così come invecchiare malamente. Le tante follie che ho fatto nella mia vita non devono costituire un argomento di emulazione da parte dei miei allievi. Non rinnego nessuna delle mie dissipazioni. Ma con l'età si impara che ci sono dei punti e dei momenti in cui è inutile e improduttivo forzare le regole. A partire proprio dai cataloghi. Tanto sottotraccia un certo tipo di inquietudine credo si legga. Il primo viaggio che ho fatto da solo era ad Ascona, a vedere la mostra di Harald Szeemann sul Monte della Verità. Qualcun altro magari è stato segnato da una mostra su Giorgione, o sull'Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. A me toccarono Lenin, Bakunin e Isadora Duncan. Per non parlare di Bramantino e di Luini..."